
Entrando in un bar, si può finire in mezzo a una conversazione surreale.
C’è chi racconta di aver appena comprato un’auto da 30.000 euro. Qualcun altro rilancia con una da 60.000. E lo fanno con orgoglio, come se dentro quei numeri ci fosse qualcosa di importante.
Ma cos’è successo, davvero, al loro modo di percepire il benessere?
Sembra che oggi, alcune persone, per sentirsi bene, hanno bisogno di oggetti enormi, costosi,
performanti.
Hanno perso la capacità di godere del poco. Di riconoscere il piacere che può venire da una cosa semplice, come l’aria sulla faccia mentre si pedala o la luce del sole che filtra tra le foglie di un albero.
Queste cose, una volta, bastavano.
Adesso non le sentiamo più. E allora dobbiamo riempire il vuoto con altro: oggetti, rumore, denaro, accumulo.
La nostra percezione si è ristretta, si è intorpidita.
E meno percepiamo, più abbiamo bisogno di “altro”.
Più grande è il vuoto interiore, più serve qualcosa di grande fuori: una macchina enorme, una vacanza costosa e lontana, un acquisto che “compensi”questo disagio.
Ma se queste persone invertissero questo processo?
Se tornassero a coltivare la loro sensibilità, ad allenare la percezione del sottile?
Se riuscissero, anche solo per un momento, a stare fermi sotto un albero e sentire il benessere che nasce dal semplice essere lì, vivi, respiranti?
Non è un romanticismo da cartolina. È un’urgenza.
Perché il corpo umano — la nostra macchina interiore — ha bisogno di cose vere.
Ha bisogno di natura, lentezza, ascolto. E ha bisogno di imparare di nuovo a sentire.
Solo così potremo smettere di riempire il vuoto con oggetti.
Solo così potremo riscoprire quanto può farci bene il poco, se impariamo a percepirlo davvero.
Tutti quanti
